L’origine della vita sulla Terra

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Il nostro pianeta possiede una caratteristica che lo rende unico in tutto il Sistema Solare e forse in tutta la galassia o nell’intero universo: la vita.

Ma vi siete mai chiesti perché la vita si sia originata proprio sulla Terra? O ancora, come e quando sia avvenuto questo processo?

Per rispondere a queste domande nel corso dell’ultimo secolo sono state avanzate molte ipotesi, ma nessuna di queste può ancora essere considerata del tutto certa o completamente verificata.

In questo articolo vi esporremo la teoria fino ad ora più accreditata in campo scientifico, che venne formulata per la prima volta dal biochimico e biologo russo A.I. Oparin.

 

L’ipotesi di Oparin

La prima convincente ipotesi riguardo l’origine della vita fu elaborata dal biochimico russo Oparin e dal genetista scozzese Haldane. Questi scienziati ipotizzarono che, prima di un’evoluzione biologica vera e propria, sulla Terra fosse avvenuta un’evoluzione chimica.

Per capire meglio questo concetto è opportuno considerare le condizioni atmosferiche della Terra primitiva. Nonostante le prime testimonianze fossili di forme viventi risalgano a 3,4 miliardi di anni fa, si ritiene infatti probabile che la vita sia comparsa sulla Terra circa 3,6 miliardi di anni fa, quando l’atmosfera era costituita principalmente da idrogeno, ammoniaca, metano e vapore acqueo e disponeva già dei quattro principali elementi che oggi costituiscono più del 95% dei tessuti degli organismi viventi (idrogeno, ossigeno, carbonio e azoto). Sul nostro pianeta era inoltre presente moltissima energia che si manifestava sotto forma di calore, scariche elettriche e radioattività, senza contare che l’atmosfera primitiva, essendo priva di ossigeno e conseguentemente di ozono, non era in grado di bloccare i raggi ultravioletti e permetteva, dunque, il passaggio delle radiazioni provenienti dal Sole.

Oparin ipotizzò che, in tali condizioni, dai gas dell’atmosfera si sarebbero potute formare grandi quantità di molecole organiche che si sarebbero poi raccolte nei mari e nei laghi del pianeta, dando origine al cosiddetto “brodo primordiale”.

 

L’esperimento di Miller

L’ipotesi formulata da Oparin e Haldane venne confermata sperimentalmente nel 1930 dallo statunitense Stanley Miller.

Nel suo esperimento Miller simulò in laboratorio le condizioni ambientali ritenute probabili sulla Terra primitiva facendo uso di un composto di gas costituito da idrogeno, vapore acqueo, metano e ammoniaca. Questo aggregato veniva unito ad acqua e poi riscaldato fino all’evaporazione, per riprodurre l’attività dei caldi “oceani” primitivi. I gas erano poi sottoposti a intense scariche elettriche che riproducevano l’azione dei fulmini.  Si procedeva successivamente al raffreddamento e alla condensazione del miscuglio, ricollegandolo infine con il composto iniziale.

Miller notò come, dopo sole 24 ore, da questo processo si fossero formate quantità relativamente abbondanti di amminoacidi e di altre molecole organiche, riuscendo così a dimostrare l’ipotesi al tempo poco accreditata di Oparin.

Ripetendo esperimenti di questo genere più volte e apportando delle modifiche al miscuglio di gas originario, gli scienziati sono riusciti a produrre anche alcuni nucleotidi, che sono alla base dei nostri DNA e RNA.

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L’esperimento di Miller

 

L’evoluzione prebiologica

I primi composti organici si sarebbero a questo punto riversati nei laghi e negli oceani della Terra primordiale e, diventati via via più numerosi e sempre più vicini, si sarebbero combinati tra loro originando piccoli sistemi. All’evoluzione chimica sarebbe dunque seguita una nuova fase definita evoluzione prebiologica.

A poco a poco questi sistemi avrebbero acquisito la capacità di scambiare materia ed energia con l’ambiente esterno e avrebbero cominciato a perfezionarsi. In particolare i sistemi con maggior stabilità chimica o maggiore possibilità di riprodursi sarebbero cresciuti di numero rispetto ad altri sistemi meno efficienti. Questo meccanismo, definito protoselezione naturale, avrebbe permesso un aumento della complessità generale dei sistemi, fino a portare allo sviluppo di un semplice metabolismo. Oparin chiamò coacervati questi sistemi primitivi.

Altri esperimenti condotti negli anni Cinquanta da S. Fox e altri biologi statunitensi, permisero di comprendere come dai primi amminoacidi si sia potuta evolvere una struttura simile a una cellula. Riscaldando gli amminoacidi in assenza di ossigeno si formano spontaneamente dei polipeptidi (brevi catene proteiche), che, posti in acqua, danno origine a piccole vescicole. Quest’ultime sono in grado di accumulare determinate sostanze dall’ambiente circostante, dando luogo, in alcuni casi, alla formazione sulla propria superficie di una pellicola di lipidi e proteine, dotata di proprietà tipiche delle membrane cellulari. Si formano in questo modo quelle che vengono definite microsfere proteinoidi.

Sebbene queste strutture non siano cellule viventi, in quanto prive di DNA, la formazione di pareti proteiche ed in seguito lipidiche suggerisce quali processi avrebbero potuto dare origine a entità proteiche autosufficienti. Resta tuttavia da chiarire come da queste strutture si siano potute evolvere le cellule che noi oggi conosciamo, capaci di autoreplicarsi e contenenti DNA e RNA.

Secondo recenti studi pare che le prime cellule fossero cellule procariote eterotrofe che si nutrivano di sostanze organiche già presenti nell’ambiente e ricavavano l’energia necessaria al loro mantenimento grazie a processi di fermentazione. Da queste prime forme, riconducibili agli attuali batteri, si sarebbero poi evolute le cellule eucariote.

 

Fonti: sapere.it, invito alla biologia.Blu Zanichelli, planet.racine.ra.it

 

 

 

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